Album da colorare per adulti

“Quando stai colorando non stai realmente pensando ad altro se non a quello che stai facendo. Sei solo te stesso, seduto con un pezzo di carta e alcuni pastelli, senza tecnologia né rumori. Come se tornassi bambino, riuscendo a conquistare qualche attimo di evasione dalla vita di tutti i giorni”.

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Nell’immaginario collettivo colorare un disegno è considerata da sempre un’attività da bambini.

Invece la teoria di usare l’arte come terapia, sta facendo tornare il disegno grande protagonista.

Quando un bambino colora, la sua attenzione è completamente assorbita da quello che sta facendo: sceglie le tonalità che stanno meglio vicine, cerca di restare all’interno dei contorni del disegno, tutto ciò richiede la massima concentrazione.

Questo vale anche per gli adulti: concentrarsi su un’attività manuale permette di chiudere fuori dalla mente tutti i problemi, le ansie e la frenesia della vita quotidiana. La mente si sgombra e anche il corpo si rilassa. Colorare calma i nervi e permette di ritrovare il proprio equilibrio.

La maggior parte sono su piante, animali e forme naturali e negli Usa, nel Regno Unito e in Francia ci sono stati libri da colorare per adulti che hanno venduto milioni di copie, anche più dei libri di cucina che negli ultimi anni sono sempre stati tra i più venduti.

 

Ancora e sempre Bif&st

“Tutto ciò che conta nel cinema è inspiegabile”,  diceva Wim Wenders, e spesso succede nella vita reale. Il Bif&st  di Bari è un festival che fa sognare, fa credere di essere per una settimana in un posto magico, pieno di persone che raccontano la loro storia, le loro esperienze ed emozioni.

Questi racconti parlano di attori, registi, film e sceneggiature ma soprattutto di ritratti personali ed intimi, aneddoti e scenette che non si potranno mai leggere in nessun libro ma solo sentite direttamente dalla bocca e dal cuore di chi le ha vissute.

Seguire questo festival è ormai diventato un appuntamento fisso per me, dall’edizione pilota del 2009 ma quest’anno ho conosciuto il Bif&st come giuria popolare della sezione “Opere prime e seconde”. Noi 30 giurati siamo stati parte del successo del film dell’anno 2016 per eccellenza “Lo Chiamavano Jeeg Robot“, premiando Gabriele Mainetti come miglior regista.

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È stato il primo Bif&st senza Ettore Scola ma lui in qualche modo continuerà sempre ad esserci…

Il futuro delle donne secondo la vice di Facebook

Sheryl Sandberg, la numero due di Facebook, propone di riflettere su una vecchia storia che è un esempio illuminante sugli stereotipi di genere.
Un padre e un figlio sono in macchina e hanno un grave incidente; il padre muore e il figlio è ammaccato in modo serio. Portato in ospedale, si decide che deve essere operato ma il chirurgo si rifiuta di farlo perché dice che il ragazzo è suo figlio.
Alla domanda su chi sia il chirurgo, più di metà degli interrogati comincia a immaginare complicate storie di relazioni extraconiugali con figli segreti piuttosto che pensare alla soluzione più ovvia: il chirurgo è la madre del ragazzo.

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Playing For Change

Suonare, incontrarsi, sfruttare la rete per annullare le distanze.

Playing for Change è un progetto mondiale, nato nel 2004 da Mark Johnson che da produttore discografico e ingegnere del suono si trasforma in talent scout per musicisti di strada e va in giro per il mondo con lo scopo di creare una rete di artisti mediante i quali portare un messaggio di pace nel mondo con la loro musica.

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È un supergruppo musicale formato soprattutto da artisti di strada di varie etnie, nato come progetto multimediale e poi trasformatosi in una band che fa tour in tutto il pianeta. Ma anche una fondazione che, con i proventi della musica, costruisce scuole di musica destinate all’infanzia nel terzo mondo.

Assemblando tutti i contributi in una serie di video, Playing for Change ha diffuso in rete qualcosa di una forza straripante: il top è il video della versione di “Stand By Me” che su YouTube supera i 72 milioni di visualizzazioni.

Serendipity

Serendipity è una delle parole più belle della lingua inglese, così come una delle più difficili da tradurre.

Il termine deriva da Serendip, l’antico nome persiano dello Ski Lanka e significa l’arte di imbattersi in qualcosa per caso, o la capacità di collegare fra loro fatti apparentemente insignificanti arrivando a una conclusione preziosa, o più in breve, forse soltanto: ”una felice coincidenza”.

La sensazione di quando trovi qualcosa di imprevisto cercando altro.

Una vita senza ricerca non è degna d’essere vissuta” diceva Socrate. Ma la bellezza sta nel fatto che ciò che si cerca è perlopiù ignoto.

E quando scopri qualcosa di incredibile che non avevi immaginato né calcolato sul tuo percorso, c’è quella vocina dentro che ti dice, complice, “Hai visto? Non me la sono fatta scappare”.

È il sentimento comune di chi vive la propria vita con presenza, che coglie le possibilità infinite e meravigliose che ci sono offerte senza accecarsi su se stesso o su un obiettivo opaco…

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Una tata artista!

Una storia su un aspetto “triste” legato al talento e soprattutto al fatto di quanti rimangano nascosti e conosciuti solo quando non possano più gloriarsene.

Vivian Maier faceva la tata, le piaceva inventare avventure per le strade del vicinato e nei suoi momenti liberi non usciva mai senza macchina fotografica. Questa tata dalle scarpe grosse e accento francese era uno degli sguardi più acuti della sua generazione.

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È riservata, non ha amici o un amore; fotografa per trovare il suo posto nel mondo. Fotografa per se stessa: non mostra mai il suo lavoro e non permette ai bambini di entrare nella camera oscura che allestisce nella propria stanza, anche per dare un volto a se stessa. Nel suo vastissimo catalogo di frettolosi passanti compare, nei molti autoritratti, anche lei. Col cappotto pesante e lo sguardo vagamente interrogativo, i capelli corti tenuti di lato dal fermaglio e una leggera increspatura di sorriso, Vivian Maier fotografa per ricordare e per non essere dimenticata.

Vivian e la sua arte è stata scoperta per caso da John Maloof, con la passione della fotografia, che, in un’asta a San Francisco, acquista una scatola di negativi a 400 dollari, un tesoro di circa 150mila negativi, oltre 3mila stampe e migliaia di rulli di pellicola.
Proprio lui afferma «Più imparo su di lei, più ne resto affascinato. Le devo uno sforzo perché le venga riconosciuto un posto tra i grandi fotografi del suo tempo».

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Qui il Trailer del documentario “Finding Vivian Maier”